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La ricreazione è finita

Author/Uploaded by Dario Ferrari

Marcello è un trentenne senza un vero lavoro, resiste ai tentativi della fidanzata di rinsaldare il legame e cerca di prolungare ad libitum la sua condizione di post-adolescente fuori tempo massimo. La sua sola certezza è che vuole dirazzare, cioè non finire come suo padre a occuparsi del bar di famiglia. Per spirito di contraddizione, partecipa a un concorso di dottorato in Lettere, e imprevedib...

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Marcello è un trentenne senza un vero lavoro, resiste ai tentativi della fidanzata di rinsaldare il legame e cerca di prolungare ad libitum la sua condizione di post-adolescente fuori tempo massimo. La sua sola certezza è che vuole dirazzare, cioè non finire come suo padre a occuparsi del bar di famiglia. Per spirito di contraddizione, partecipa a un concorso di dottorato in Lettere, e imprevedibilmente vince la borsa. Entra così nel mondo accademico e il suo professore, un barone di nome Sacrosanti, gli affida come tesi un lavoro sul viareggino Tito Sella, un terrorista finito presto in galera e morto in carcere, dove però ha potuto completare alcuni scritti tra cui le Agiografie infami, e dove si dice abbia scritto La Fantasima, la presunta autobiografia mai ritrovata. Lo studio della vita e delle opere di Sella sviluppa in lui una specie di identificazione, una profonda empatia con il terrorista-scrittore: lo colpisce il carattere personale, più che sociale, della sua disperazione. Contemporaneamente sperimenta dal di dentro l’università: gli intrighi, le lotte di potere tra cordate e le pretestuose contrapposizioni ideologiche, come funziona una carriera nell’università, perfino come si scrive un articolo «scientifico» e come viene valutato. Si moltiplicano così i riferimenti alla vita e alla letteratura di Tito Sella, inventate ma ironicamente ricostruite nei minimi dettagli; e mentre prosegue la sarcastica descrizione della vita universitaria, il racconto entra nella vita quotidiana di Marcello e nelle sue vitellonesche amicizie viareggine. Realtà sovrapposte, in cui si rivelano come colpi di scena delle verità sospese. Che cosa contiene l’archivio Sella, conservato nella Biblioteca Nazionale di Parigi? Perché il vecchio luminare Sacrosanti ha interesse per un terrorista e oscuro scrittore? E che cosa racconta, se esiste, La Fantasima, l’autobiografia perduta? La ricreazione è finita è un’opera che si presta a significati e interpretazioni molteplici. Un narrato in cui si stratificano il genere del romanzo universitario – imperniato dentro l’artificioso e ossimorico mondo dell’accademia –, con il romanzo di formazione; il divertimento divagante sui giorni perduti di una generazione di provincia, con la riflessione, audace e penetrante, sulla figura del terrorista; e il romanzo nel romanzo, dove l’autore cede la parola all’autobiografia del suo personaggio. Questo libro racconta la storia di due giovinezze incompiute, diversissime eppure con una loro sghemba simmetria. Dario Ferrari è nato a Viareggio, ha studiato filosofia a Pisa dove ha conseguito un dottorato di ricerca. Ha esordito nella narrativa con La quarta versione di Giuda (2020). La memoria 1260 Dario Ferrari La ricreazione è finita Sellerio editorePalermo 2023 © Sellerio editore via Enzo ed Elvira Sellerio 50 Palermo e-mail: [email protected] www.sellerio.it In copertina: Autoritratto di Jamie Coreth, 1989. L’editore rimane a disposizione dei proprietari dell’immagine di copertina che non è stato possibile rintracciare. Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore. È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata. EAN 978-88-389-4511-3 La ricreazione è finita Anno 0 Ci sono decisioni che segnano la piega che prenderà tutta una vita, e io finora quelle decisioni le ho sempre prese a caso. Se avessi dovuto scegliere cinque minuti dopo, avrei potuto tranquillamente fare l’esatto contrario, e non credo di aver affrontato nessuno snodo fondamentale della mia esistenza con una pur remota forma di ponderatezza e in vista di un obiettivo a lungo (o anche medio) termine. Tendenzialmente cerco di non muovermi, di procrastinare fino a quando tutte le possibilità sono evaporate e posso finalmente tornare a crogiolarmi nel mio bozzolo di inconcludenza. Oppure mi lascio trascinare dall’inerzia, e a un certo punto mi trovo ad aver fatto qualcosa senza aver mai realmente deciso di farla, cullato da una rassicurante bambagia di irresponsabilità. Un paio di anni fa mia madre, in preda a un’effimera fascinazione per l’oriente, mi ha semicostretto a leggere un libro in cui, tra le altre cose, si illustrava un tratto tipico della mentalità cinese: anziché agire in vista di uno scopo, il saggio lascia che le circostanze lo portino dove vogliono loro, senza incaponirsi, alla maniera occidentale, a voler essere per forza l’artefice del proprio destino. Se questa cosa è effettivamente come l’ho capita io, quindi, il punto non è che sono pigro, ma che sono praticamente il modello del saggio taoista. Il fatto che sia finito a fare un dottorato di ricerca non fa eccezione: a volerne ricostruire le origini si trova tutt’al più un accrocchio di contingenze fortuite, di posizioni sostenute al di là della ragionevolezza, per mero puntiglio, e una congenita incapacità di valutare le conseguenze delle mie azioni. Non sono uno di quelli che ce l’hanno scritta nel DNA, la carriera accademica. A parte l’abitudine alla lettura (che ho mantenuto nonostante non la condividessi con nessuno dei miei amici e nonostante mio padre le fosse apertamente ostile), sono stato uno studente universitario piuttosto mediocre. La mia unica forza era il mestiere. Intuivo fin dall’inizio quello che un professore voleva sentirsi dire, e studiavo solo le cose che mi servivano per dire esattamente quello, non una parola di più. Avevo il fiuto di capire quali lezioni frequentare e a quali lasciare la firma di presenza e poi dileguarmi, presentivo quali libri in programma si dovevano leggere e per quali bastava la quarta di copertina, e sapevo individuare a colpo sicuro la studentessa con gli occhiali a cui chiedere gli appunti. Alla fine ho galleggiato quasi sempre così, profondendo molta più energia e materia grigia nel capire cosa potessi evitare di fare che nel fare qualcosa. Mi sono laureato in Lettere, poco più di un decennio dopo l’iscrizione, con una tesi su Kafka, un po’ perché l’esame di Letteratura Tedesca era uno dei pochi che avevo studiato con piacere, e un po’ perché il professore era un vecchietto minuscolo e appassionato che mi aveva fatto subito simpatia. La tesi non era un capolavoro, però tutto sommato è stata la parte più gradevole dell’università. Talmente gradevole che me la sono portata dietro per quasi tre anni, e nel frattempo ho pure dovuto cambiare relatore perché il vecchietto minuscolo e appassionato è morto. Alla fine ho discusso la tesi con il

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