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Corregidora

Author/Uploaded by Gayl Jones

Titolo del­l’opera originale CORREGIDORA © 1975 Gayl Jones Published by arrangement with Beacon Press Traduzione dal­l’inglese di SARA ANTONELLI © Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano Prima edizione digitale maggio 2023 Ebook ISBN: 9788858857502 In copertina: Artwork © Lucinda Rogers. Quest’opera è protetta dalla legge sul diritto d’autore. È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autor...

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Titolo del­l’opera originale CORREGIDORA © 1975 Gayl Jones Published by arrangement with Beacon Press Traduzione dal­l’inglese di SARA ANTONELLI © Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano Prima edizione digitale maggio 2023 Ebook ISBN: 9788858857502 In copertina: Artwork © Lucinda Rogers. Quest’opera è protetta dalla legge sul diritto d’autore. È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata. Ai miei genitori 1. Quando io e Mutt ci siamo sposati era il 1947. Cantavo al­l’Happy’s Café, dalle parti di Delaware Street. A lui non andava che cantassi dopo che ci siamo sposati perché diceva che mi aveva sposato proprio perché così poteva mantenermi. Io rispondevo che non cantavo mica solo per mantenermi. Dicevo che cantavo perché era una cosa che dovevo fare, ma lui questo non l’ha mai voluto capire. Ci eravamo sposati che era il dicembre del 1947, ma nel­l’aprile del 1948 Mutt entrò ubriaco da Happy’s per dire che se non scendevo dal palco mi ci avrebbe tolta lui. Io non mi mossi, e degli uomini lo portarono fuori. Mentre cantavo le prime canzoni vidi che Mutt faceva capolino, l’aria perfida e avvinazzata, poi non lo vidi più e immaginai fosse andato a casa per sdraiarsi e dormirci sopra. Solitamente uscivo dalla porta sul retro. Fai una scaletta e poi un vicoletto, e da lì ti ritrovi al Drake Hotel, che era dove a quel­l’epoca stavamo io e Mutt. Dissi buonanotte e me ne andai da dietro. “Sono tuo marito. Devi sentire me, non quelli.” Al­l’inizio non l’avevo visto perché si era messo in ombra dietro la porta. Non mi accorsi di lui fino a che non mi afferrò per la vita e io cercavo di divincolarmi. “Non mi va che quegli uomini se la fanno con te.” “Non c’è proprio nessuno che se la fa con me.” “Se la fanno con gli occhi.” È stato lì che sono caduta. Al­l’ospedale i medici dissero che mi dovevano togliere l’utero. Dopo questo fatto io e Mutt non stavamo più insieme. Quando ho saputo quello che sarebbe successo non gli ho permesso neppure di venire a trovarmi in ospedale. Hanno detto che, quando ancora non lo sapevo, lui veniva. Hanno detto che nel mio delirio bestemmiavo contro di lui e pure contro i dottori e le infermiere. Tadpole McCormick era il proprietario del­l’Happy’s Café. Mascella squadrata e zigomo alto, era uno di quei negri di Hazard, in Kentucky. Cantavo da Happy’s da quando era di Demostene Washington, due anni prima che lo prendesse Tadpole. Non ho mai capito la ragione del nome Happy’s perché non ho mai sentito di un proprietario che si chiamava così. Tadpole diceva che gli avevano dato quel nome, girino, perché quando era piccolo stava sempre a mollo negli stagni. Quando potevo ricevere visite venne a trovarmi. “Come ti senti, U.C.?” Non si mise sulla sedia accanto al letto ma restò in piedi. “Tutto bene.” “Mi hanno detto che quando sei stata male hai bestemmiato forte.” “Sì.” Non disse altro. Mi accorsi che era a disagio. Chiesi se voleva mettersi seduto. Disse, “No, grazie”. Poi ha fatto, “Be’, ti volevo solo far sapere che è stato bandito dal locale, così quando torni non ti darà fastidio”. “È stato bandito pure da me. Intanto come fai?” “Ho preso un complessino jazz. Il gruppo di Eddy Pace.” “Ah.” Restò in silenzio. “Lo sai che mi è successo?” ho chiesto. Ha annuito. “Ti sei mai sentito come se qualcosa ti camminasse sottopelle?” Ha annuito un’altra volta. “Taddy, mi riporteresti a casa quando sarà il momento di andarci?” Disse sì. Quando arrivò il momento di tornare a casa non mi portò al Drake. Aveva tre stanze sopra il locale. Io potevo dormire su un divano che si apriva come un letto. Lui sul divano che non si apriva. Ero ancora debole e i punti sarebbero rimasti per un bel po’. Il primo piatto che mi ha preparato è stato la minestra di verdure. Lui non la mangiò. Si sedette accanto al letto. “Sono contenta che hai pensato che ‘casa’ non significava il Drake.” “Al Drake non è stato bandito,” ho detto. La minestra era buona, ma ho bevuto solo il brodo. Avevo come la sensazione che avrei vomitato. “Pensavo mangiassi di più,” ha detto. “No, non ho tanta fame. Mi sento lo stomaco ancora indolenzito, per tutti quei liquidi che mi hanno dato.” Era sera ma dal piano di sotto non arrivava neppure un po’ di musica. “Dov’è il complessino?” “Stasera gli ho detto di non venire.” “E gli affari?” “Sei più importante tu degli affari.” Non ho detto niente. Mi ero accorta che era ancora a disagio. Prese la scodella e tornò in cucina. Quando è rientrato ha detto, “Vengono comunque a bere”. Poi ha aggiunto, “Me ne vado di sotto. Ritorno dopo a vedere se ti serve qualcosa”. “Okay.” Se ne andò. Quando è tornato ho aperto gli occhi. “Pensavo dormissi,” ha detto. “No.” “Dovresti. Come ti senti?” “Ancora debole. Ma non è tanto cosa sento nel corpo.” “Cos’è che senti?” “Come se una parte della mia vita fosse stata già segnata… la parte sterile.” “Non puoi pretendere che per una donna sia facile accettare una cosa così.” “E per un uomo?” “Vuoi dire Mutt? Non è che vuoi tornare da lui, vero?” “No, intendo un uomo qualsiasi.” “Se l’uomo fossi io non mi importerebbe. Un uomo qualsiasi non lo so.” Non ho detto niente. Magari volevo pure che mi rispondesse così, ma non è che l’avessi costretto. “Adesso vorrei dormire,” ho detto. Ha spento la luce ed è andato nella stanza col divano. Ha chiuso la porta. Ero sdraiata di schiena e mi sembrava mi avessero tolto anche di più del­l’utero. Mentre Tadpole era al piano di sotto, mi ero riguardata i punti sulla pancia. Una volta che non ci saranno più, tornerò a lavorare, quello e anche… Era chiaro che con Tadpole stavo cercando di ottenere qualcosa. Quello a cui portava la nostra conversazione. Qualcosa di cui avevo bisogno, ma che non potevo contraccambiare. Adesso ci sarebbe stato tanto che non

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